La scuola che spegne invece di accendere
Una riflessione sincera, urgente, per tutti noi che accompagniamo giovani anime
Tempo di lettura: 3 min.
La scuola che spegne invece di accendere. Mi rivolgo a te, educatore, insegnante, maestro, a te che, forse da decenni, percorri corridoi e entri nelle aule, che distribuisci lezioni, assegni compiti e correggi errori; A te che credi di “aver insegnato” qualcosa semplicemente perché qualcuno ha studiato e ha preso buoni voti; a te che ti vanti dei “bravi alunni” e che, con la stessa leggerezza, liquidi gli “alunni incapaci” come se la loro fioritura, o la loro rinuncia a fiorire, non ti appartenesse minimamente.
Ti chiedo: cosa ti fa credere di aver davvero educato? Cosa ti fa credere di aver lasciato qualcosa di buono nelle anime che hai incontrato? Hai mai considerato che potresti aver fatto più danni che benefici?
Pensa a quante volte hai celebrato i successi di chi si è piegato al tuo sistema di insegnamento e, al contrario, quante volte hai ignorato la sofferenza silenziosa di chi non si riconosceva nei tuoi schemi; quante volte hai giudicato, etichettato, decretato capacità o incapacità senza mai metterti in discussione; quante volte hai creduto che “sapere” bastasse, dimenticando che educare è prima di tutto accendere e favorire la fioritura di un essere umano.
E se insegnare fosse davvero, come Seneca ricordava, un imparare reciproco? Cosa hai imparato tu finora, non dalla tua materia, non dalle circolari ministeriali, non dai progetti, non dai corsi di formazione né dai concorsi ma cosa hai imparato dalle anime che ti sono state affidate? Hai mai tremato di fronte al mistero di un ragazzo o di una ragazza che non ti capiva, che ti sfuggiva o che ti rifiutava? Hai mai ringraziato chi ti ha obbligato a rimetterti in discussione e a migliorarti? Oppure hai solo “tirato a campare”, protetto dal tuo titolo, dal tuo ruolo e dalle tue sicurezze?
Vedo una scuola che sempre più spesso tradisce la sua missione, non è più un luogo di crescita ma una fabbrica di conformità, di obbedienza, di paure camuffate da regole. Ecco perché “La scuola che spegne invece di accendere”. Perché vedo troppi adulti incapaci di guardare negli occhi chi hanno davanti e chiedersi: Chi sei tu? Come posso aiutarti a fiorire? Cosa posso imparare da te?
A te che leggi, a te che insegni, il mio invito è: fermati! Lascia da parte per un momento tutto quello che “sai” e rispondi a questa domande: Cosa ho imparato finora, davvero? In cosa sono cambiato grazie ai miei alunni? Dove ho fallito? Dove sono stato cieco? Quali danni ho forse contribuito a creare, senza volerlo? Come posso ricominciare, adesso, a educare anche me stesso?
Sono a fine carriera, forse come te che leggi,
o forse come sarai tu tra qualche anno o tra un ventennio più o meno, e mi sono fatta anch’io le stesse domande. Alla prima ho risposto: ho imparato che l’essere umano è infinitamente più vasto e misterioso di qualsiasi programma, di qualsiasi giudizio e di qualsiasi aspettativa; che nessun sapere vale quanto uno sguardo che sa vedere davvero o di una parola che sa accogliere senza etichettare; ed ho anche imparato che i ragazzi sono fiori diversi da proteggere dal vento delle nostre convinzioni, delle proiezioni che facciamo su di loro e dalle credenze educative che ci portiamo dietro dai nostri educatori, per quanto amorevoli essi siano stati; ho capito che i giovani sono misteri sacri, non progetti da modellare. Ho cambiato il mio modo di ascoltare, di osservare il miracolo unico che ciascuno porta; sono cambiata perché loro, senza saperlo, mi hanno insegnato a vedere me stessa. Dico di non aver fallito così gravemente come vedo fare da troppi colleghi, perché non ho mai pensato “questo ragazzo non ce la farà” e non ho mai creduto che il valore di una persona si misurasse dai suoi risultati scolastici, dai voti o dall’adattamento alle mie richieste. Non ho mai avuto fretta di farmi obbedire: ho sempre invitato al rispetto, a tutto tondo. Sicuramente ho creato ferite silenziose ma ho fatto del mio meglio in ogni occasione per non soffocare talenti, per non far sentire nessuno sbagliato, per non spegnere sogni. Quando ho sbagliato, ho chiesto scusa con umiltà, ho ammesso che non si smette mai di imparare, né di imparare ad amare.
Non avere paura del tuo mea-culpa,
è da lì che può nascere ancora il vero Maestro che è in te, e se, leggendo queste righe, hai sentito un brivido, una resistenza, un piccolo dolore non ignorarlo, è segno che qualcosa dentro di te è ancora vivo, che sei ancora disposto a imparare; accoglilo come fosse un seme dal quale può rinascere il “Maestro” che ogni giovane anima ha bisogno di incontrare. Non è mai troppo tardi per diventare ciò che avresti voluto essere per i tuoi alunni.

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